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Buffon si racconta: “Ero un giovane ultrà, ho fatto tante cazzate”

Buffon si racconta: Ero un giovane ultrà, ho fatto tante cazzate

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Gigi Buffon si guarda indietro e svela alcuni aneddoti del suo passato: "Ho sempre evitato le droghe, al massimo una canna...".

Sui campi di calcio è tutt'ora un vero e proprio esempio, ma Gigi Buffon svela qualche particolare aneddoto del suo passato: dai tempi della curva ad una gioventù vissuta a volte anche sopra le righe. Alla soglia dei 41 anni lo storico portiere italiano condivide i suoi ricordi.

Nel corso di un'intervista concessa a 'Vanity Fair', Buffon ripensa alle giornate vissute da vero e proprio ultrà.

"Ero ultrà, del Commando Ultrà Indian Tips, il nome del gruppo di tifosi che seguivano la Carrarese, ancora ce l’ho stampato sui miei guanti. Incontravo gente di cui si parla tanto senza saperne nulla. Ragazzi normali, sognatori, idealisti. Alcune persone interessanti e qualche deficiente...".

Qualche errore di gioventù e qualche episodio di sana follia, Buffon si mostra senza filtri.

"Da ragazzo covavo una sensazione di onnipotenza e invincibilità. Mi sentivo indistruttibile, pensavo di poter eccedere, di fare quel che volevo. Mi tengo ben stretta la sana follia dei miei vent’anni. Ho fatto le mie cazzate, ne ho assaporato il gusto e in un certo senso sono contento di non essermene dimenticata neanche una".

L'ex portiere della Juventus racconta poi un episodio avvenuto con la polizia.

"È una storia che risale a vent’anni fa. Dopo una partita diedi un passaggio a un tifoso del Parma. Al casello c’era un posto di blocco della polizia. Appena vide le luci blu, lui si dileguò. A confronto con loro rimasi solo io. Droghe? Ho accuratamente evitato di drogarmi e doparmi, al massimo una canna. Semmai ricordo la nuvola di fumo che avvolge i tifosi della Casertana, una nebbia provocata non dai fumogeni, ma da 200 canne fumate tutte insieme: è come se la vedessi ora".

Non poteva mancare un commento sugli scontri avvenuti a margine di Inter-Napoli.

"È difficile provare a contestualizzare quanto successo a Milano. L’odio è un vento osceno, da qualunque parte spiri, non solo in uno stadio perché ho il forte sospetto che il calcio, in tutto questo, reciti soltanto da pretesto".

Più di 15 anni fa Buffon fu colpito da una pericolosa depressione con conseguenti attacchi di panico.

"Mi pareva che agli altri non interessassi io, ma solo il campione che incarnavo. Che tutti chiedessero di Buffon e nessuno di Gigi. Fu un momento complicatissimo. Avevo 25 anni, cavalcavo l’onda del successo e della notorietà. Un giorno, a pochi minuti da una partita di campionato mi avvicinai a Ivano Bordon, l’allenatore dei portieri, e gli dissi: “Ivano, fai scaldare Chimenti, di giocare io non me la sento”. Avevo avuto un attacco di panico. Non ero in grado di sostenere la gara. Se non avessi condiviso quell’esperienza, quella nebbia e quella confusione con altre persone, forse non ne sarei uscito. Ebbi la lucidità di capire che quel momento rappresentava uno spartiacque tra l’arrendersi e fare i conti con le debolezze che abbiamo tutti. Non ho mai avuto paura di mostrarle né di piangere, una cosa che mi capita e di cui non mi vergogno affatto".

Buffon si racconta: Ero un giovane ultrà, ho fatto tante cazzate

Gigi Buffon si guarda indietro e svela alcuni aneddoti del suo passato: "Ho sempre evitato le droghe, al massimo una canna...".

Sui campi di calcio è tutt'ora un vero e proprio esempio, ma Gigi Buffon svela qualche particolare aneddoto del suo passato: dai tempi della curva ad una gioventù vissuta a volte anche sopra le righe. Alla soglia dei 41 anni lo storico portiere italiano condivide i suoi ricordi.

Nel corso di un'intervista concessa a 'Vanity Fair', Buffon ripensa alle giornate vissute da vero e proprio ultrà.

"Ero ultrà, del Commando Ultrà Indian Tips, il nome del gruppo di tifosi che seguivano la Carrarese, ancora ce l’ho stampato sui miei guanti. Incontravo gente di cui si parla tanto senza saperne nulla. Ragazzi normali, sognatori, idealisti. Alcune persone interessanti e qualche deficiente...".

Qualche errore di gioventù e qualche episodio di sana follia, Buffon si mostra senza filtri.

"Da ragazzo covavo una sensazione di onnipotenza e invincibilità. Mi sentivo indistruttibile, pensavo di poter eccedere, di fare quel che volevo. Mi tengo ben stretta la sana follia dei miei vent’anni. Ho fatto le mie cazzate, ne ho assaporato il gusto e in un certo senso sono contento di non essermene dimenticata neanche una".

L'ex portiere della Juventus racconta poi un episodio avvenuto con la polizia.

"È una storia che risale a vent’anni fa. Dopo una partita diedi un passaggio a un tifoso del Parma. Al casello c’era un posto di blocco della polizia. Appena vide le luci blu, lui si dileguò. A confronto con loro rimasi solo io. Droghe? Ho accuratamente evitato di drogarmi e doparmi, al massimo una canna. Semmai ricordo la nuvola di fumo che avvolge i tifosi della Casertana, una nebbia provocata non dai fumogeni, ma da 200 canne fumate tutte insieme: è come se la vedessi ora".

Non poteva mancare un commento sugli scontri avvenuti a margine di Inter-Napoli.

"È difficile provare a contestualizzare quanto successo a Milano. L’odio è un vento osceno, da qualunque parte spiri, non solo in uno stadio perché ho il forte sospetto che il calcio, in tutto questo, reciti soltanto da pretesto".

Più di 15 anni fa Buffon fu colpito da una pericolosa depressione con conseguenti attacchi di panico.

"Mi pareva che agli altri non interessassi io, ma solo il campione che incarnavo. Che tutti chiedessero di Buffon e nessuno di Gigi. Fu un momento complicatissimo. Avevo 25 anni, cavalcavo l’onda del successo e della notorietà. Un giorno, a pochi minuti da una partita di campionato mi avvicinai a Ivano Bordon, l’allenatore dei portieri, e gli dissi: “Ivano, fai scaldare Chimenti, di giocare io non me la sento”. Avevo avuto un attacco di panico. Non ero in grado di sostenere la gara. Se non avessi condiviso quell’esperienza, quella nebbia e quella confusione con altre persone, forse non ne sarei uscito. Ebbi la lucidità di capire che quel momento rappresentava uno spartiacque tra l’arrendersi e fare i conti con le debolezze che abbiamo tutti. Non ho mai avuto paura di mostrarle né di piangere, una cosa che mi capita e di cui non mi vergogno affatto".

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